Mentre il nuovo fenomeno è rappresentato dall’immigrazione interna agli stessi paesi dell’Unione europea, con cittadini comunitari, nella maggior parte dei casi qualificati e titolati, che si spostano in altre nazioni (Germania in primis) per cogliere lavoro ed opportunità, di forte attualità nel dibattito politico resta sempre il più ampio tema dell’immigrazione extracomunitaria e dei suoi riflessi.

Ma cosa gira intorno all’accoglienza degli immigrati? Per legge esiste una quota di trentacinque euro al giorno di rimborso spese per ogni ospite, che non viene erogata all’immigrato bensì alle cooperative ed alle altre associazioni – i cui piani sono approvati da una commissione formata da rappresentati di enti locali, ministero dell’Interno e agenzia Onu per i rifugiati – a copertura dei costi per vitto, alloggio, pulizia e manutenzione dello stabile, mediazione culturale, assistenza legale, visite mediche ed eventuale iter burocratico per diventare rifugiati. In alcuni casi sono state coinvolte anche le famiglie nell’accoglienza di migranti, attraverso convenzioni che prevedono un rimborso mensile erogato in cambio di fornitura di vitto, alloggio e igiene personale.

A disposizione degli immigrati c’è invece il cosiddetto “pocket-money”, vale a dire un buono per le spese quotidiane da due euro e cinquanta al giorno. In questo momento di emergenza perenne, il rischio è che l’accoglienza non venga più svolta e gestita in modo genuino e credibile o, peggio ancora, che nel sistema si inserisca anche chi intende speculare. “Le cooperative che lavorano con numeri alti tendono a non avere più cura dei migranti – ha denunciato ad esempio Alberto Mossino, presidente della Onlus Piam in una recente intervista al portale Tpi -. Le prefetture hanno fretta di collocare queste persone senza curarsi realmente di come poi vadano le cose, ed anche i bandi che vengono ufficializzati premiano solo l’aspetto economico: vince l’ente che offre di meno per ospitarle”. Il problema delle gare vinte al ribasso dalle associazioni è effettivamente serio in quanto, a costi bassi, non possono essere poi adeguatamente garantiti i servizi minimi previsti dalla convenzione ministeriale, come cibo, assistenza medica, pratiche di integrazione ed altro. “Il numero ideale è di circa venticinque persone per ogni centro, altrimenti la situazione diviene ingestibile – ha proseguito Mossino -. Le problematiche sono svariate, dai problemi legati al cibo, alle diverse culture, alla difficoltà nell’erogare i pocket-money o proprio al fatto che a volte gli stessi vengano dati sotto forma di buoni per schede telefoniche o buoni spesa per supermercati”. Del resto, molte cooperative che non hanno solide basi economiche e non ricevono prontamente i rimborsi dalla prefettura non rilasciano i pocket-money con regolarità e da lì nascono problematiche che facilmente si possono immaginare.

E se è vero che, oltre ai veri e propri centri accoglienza, ormai chiunque abbia anche solo una cascina o un albergo in disuso può pensare di ospitare i migranti, il problema è appunto quello del controllo sull’operato di questi enti. La vera deriva, tuttavia, è rappresentata dall’emersione di una sorta di subappalto, con cooperative e associazioni che, remunerate con i trentacinque euro al giorno per migrante, a loro volta trasferiscono fondi ad altri centri che li accolgono per meno. Anche in questo senso andrebbero potenziati i controlli.

Nello Giannantonio