Il 25 maggio 2018 è stato lo storico giorno in cui la cattolicissima Irlanda ha cancellato, con un referendum, la norma costituzionale che considerava il feto una persona e vietava l’interruzione di gravidanza in quasi tutti i casi, addirittura dopo uno stupro o un incesto, così come in presenza di riscontro di anomalie che avrebbero portato alla morte del nascituro.
È stato il coronamento di una battaglia lunga e non semplice sui diritti all’autodeterminazione delle donne, che prima – a causa dell’aborto – venivano punite addirittura con pene fino a 14 anni di carcere. L’aborto veniva così praticato all’estero, motivo per cui, in media, oltre 4mila donne irlandesi, ogni anno, si recavano in Inghilterra per interrompere spontaneamente una gravidanza indesiderata.
In regime di divieto erano, appunto, tanti i drammi che si consumavano in Irlanda, supportati da volontari e organizzazioni no profit che negli anni hanno potuto testimoniare raccapriccianti storie: da chi è morto di aborto clandestino alle donne che provavano a procurarsi l’interruzione di gravidanza con pericolose soluzioni “fai da te” (ingerendo ad esempio candeggina), fino al caso di quella madre già di tre figli che assunse eroina nella speranza di uno shock in grado di provocarle un aborto spontaneo.
Anche l’Italia, come faceva l’Inghilterra nei confronti dell’Irlanda, accoglie tuttoggi donne alla ricerca di un aborto spontaneo. Succede infatti che dalla vicina San Marino “emigrano” spesso donne per abortire (la legge italiana garantisce anche l’anonimato), dovendo sostenere spesso spese di circa 2mila euro non avendo diritto alla sanità pubblica. Gruppi di donne che a San Marino portano avanti la battaglia per depenalizzare l’aborto riferiscono anche di “casi di vittime di violenze che hanno scelto di non denunciare perché temevano di essere rimaste incinte e di non poter poi abortire a causa della legge”.
Nello Giannantonio